8 novembre 2005
Val di Susa
Non conosco questa valle, ma conosco le mie valli. Una su tutte, quella del Vajont, che ha conosciuto bene il "progresso" del cemento e dell'acciaio. Non
conosco il progetto TAV, non conosco chi sta manifestando in Val di
Susa. Ma conosco le decine di progetti di elettrodotti, antenne,
autostrade che ho dovuto studiare per lavoro e politica. Tutte le
volte (tutte) chi protestava era additato come il contadino buzzurro
che ostacola il progresso. Tutte le volte (tutte) il progetto
devastatore dell'ambiente e della salute dei cittadini era sbandierato
come l'unico possibile, se non si voleva escludere definitivamente il
territorio dallo sviluppo garantito dalla modernità. Tutte le volte
(tutte) appena ci si è messi a studiare la questione in modo serio e
approfondito, si è scoperto che non era vero. Un'alternativa
ecocompatibile esisteva tutte le volte (tutte). Solo che costava di
più. Solo che riduceva i margini di profitto del costruttore. Solo che
riduceva le occasioni di intervento (leggi: tangenti) dei suoi
fiancheggiatori politici. Per cui non ho alcun bisogno di mettermi a
studiare la Val di Susa o il progetto TAV. Come direbbe Pasolini, io SO
da che parte stare.
Sto dalla parte di chi difende la propria
terra, contro gli alfieri di un progresso vecchio come il mondo, gli
stessi che ora vorrebbero distruggere anche il Cansiglio, splendido e
incontaminato altipiano a un tiro di schioppo da casa mia (e ancora più
vicino a casa di Vetero). Una foresta incontaminata, che si
vorrebbe deturpare con tre enormi impianti sciistici. Come se non ne
avessimo abbastanza da queste parti. Come se chi volesse sciare non
avesse l'imbarazzo della scelta, da Cortina in su. Come se toccare il
Cansiglio non fosse un'offesa alla memoria delle generazioni di
contadini morti di fame, per non aver potuto coltivare quella
terra, o impiccati per aver toccato uno solo di quegli alberi, sacra
riserva di legname per le navi della Serenissima. Come se non avesse
già ferito abbastanza quella terra il rallestramento nazifascista
contro la gloriosa divisione "Nanetti". Come se fosse davvero
conveniente costruire impianti sciistici a mille metri, dove non nevica
praticamente mai. Come se dal punto di vista turistico non rendesse di
più un parco incontaminato che uno stupro ambientale. Come se non
sapessimo che gli unici a guadagnarci sarebbero i costruttori, e i loro
prezzolati fiancheggiatori politici. Come se il viadotto autostradale
pochi chilometri più a valle non fosse un monumento al tangentismo
berniniano, parte di un'autostrada Venezia-Monaco che si ferma prima di
Longarone.
Questo progresso da anni '50. Questo progresso vecchio, quello di sempre.
| inviato da il 8/11/2005 alle 0:31 | |
10 ottobre 2005
I miei fiumi...
Il Vajont non è distante da casa mia. 97 km, dice ViaMichelin, ma 'sti francesi non conoscono le strade della sinistra Piave.
Ci vado spesso, per un motivo o per un altro. Ci porto la gente, quando
mi viene a trovare qualcuno da distante. Ci andavo spesso anche da
piccolo. Sicuramente ci passavo davanti due volte all'anno: andata e
ritorno per la montagna, ogni luglio. Proprio come racconta Paolini,
solo che io invece che in treno ero in macchina. Ma il resto è uguale:
alzare gli occhi dal libro e appiccicare la faccia al finestrino, in
attesa che fra le rocce appaia quella lastra grigia, quell'enorme toppa
a chiudere una ferita nella montagna.
Qualche volta sono salito. Fai quella stradina a tornanti, passi sotto
la galleria semiaperta, e sei dentro. A destra hai una valle strana,
con alberi giovani e terra chiara, così diversa da tutte le altre valli
delle nostre montagne. Un cantiere, una cava riempita. Chiusa da una
parte da quella lastra grigia, con l'orlo mangiato dall'onda di quella
notte lontana.
Poi puoi andare sull'altro lato della valle, fare la stradina stretta e
buia che ti porta ai meravigliosi prati delle pendici del Toc. O, su
questo lato, proseguire fino a Erto, tentativo di paese non ancora del
tutto abortito.
Ma io di solito preferisco salire a Casso. Questo grumo di case su per
il monte, quasi completamente disabitato, con un solo bar e
nient'altro. Sembrerebbe uno dei tanti paesi abbandonati da una
generazione per cercare un lavoro o semplicemente un po' di sole (qui
sorge sempre più tardi), se non fosse per quelle crepe sui muri, per
quell'aria da superstite. Allora poi prendi il sentierino che va su al
cimitero, una specie di via crucis, e quando arrivi in cima guardi
dall'altra parte. E vedi quella lunga M sulla montagna di fronte, il
fronte della frana. Fa impressione, sul serio. Capisci di cosa è piena
quella valle, è piena di montagna. E guardi giù Longarone, che si
intravede, nella valle grande, quella del Piave. E pensi al salto che
ha fatto quell'acqua, alla forza con cui ha sbattuto in fondo alla
valle.
Fatelo. Veramente, se venite da queste parti fatemi un fischio, si va su al Vajont. Non so come vi sentireste.
Io lassù mi sento legato a generazioni. Sento nemica quella diga e
quella civiltà, sento nemica l'ENEL modernizzatrice, l'ente del
progresso democratico e socialista che quarant'anni fa spazzava via due
valli e ora piante elettrodotti sulla mia testa, giù in pianura. Parte
uno strano collegamento, fra il comitato dei contadini montanari di
allora e quello degli uomini di pianura del III millennio, che al mio
paese lotta contro l'elettrodotto. Un collegamento ancestrale. Qualcosa
di cui mi vergogno ma che sento.
Dicono si chiami identità.
| inviato da il 10/10/2005 alle 0:21 | |
10 ottobre 2005
9 ottobre 1963
..."il 9 ottobre 1963
è una stupenda giornata di sole. Di questa stagione la montagna è
splendida, rifulge di caldi colori autunnali. La gente di Casso va e
viene ancora dal Toc, portando via dalle case e dagli stavoli più cose
possibili. Ma altra gente non vuole abbandonare le case e i beni,
malgrado l'avviso fatto affiggere dal Comune, pressato dalle richieste
provenienti dal cantiere. (...) viene la sera e la gente, adesso, è
tutta nel bar a vedere la televisione.
Sono ancora pochissimi i televisori privati, e in eurovisione c'è la
partita di calcio Real Madrid-Rangers di Glasgow. Due squadre molto
forti, una partita da non perdere. E infatti molta gente è scesa dalle
frazioni a Longarone, e anche da altri paesi nella valle, per godersi
lo spettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla
squadra vincente. Sono le 22.39. Un lampo accecante, un pauroso boato.
ll Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d'acqua. Questa si
alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di
schianto sull'abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della
terra. A monte della diga un'altra ondata impazzisce violenta da un
lato all'altro della valle, risucchiando dentro il lago i villaggi di
S. Martino e Spesse. La storia del "grande Vajont", durata vent'anni,
si conclude in tre minuti di apocalisse, con l'olocausto di duemila
vittime".
da "Vajont 1963. La costruzione di una catastrofe" di Tina Merlin
| inviato da il 10/10/2005 alle 0:17 | |
5 maggio 2005
Mettiamo...
Mettiamo che ci sia una città di provincia. Piccola ma ricca di tradizioni culturali e, da qualche tempo, di pecunia. Mettiamo che ci sia un attore,
uno bravo, che viva in questa città più o meno da sempre e
che parli di lei (e di tante altre cose) come nessun altro al
mondo. Mettiamo che a questo attore venga consegnato, il 1 maggio
scorso, un importante premio, intitolato al patrono della città, per
aver "onorato" la città "dando espressione alla
pluralità di sentimenti che appartengono a questa città con un teatro
ironico e con un profondo impegno civile nell'affrontare i temi più
rilevanti della società". Mettiamo che in quest'occasione l'attore dica ai suoi concittadini: «Vorrei
che non vi sentiste soli perchè il teatro che faccio, chiamato civile
ma potrei definirlo politico secondo l'accezione greca polis (cioè
città), rende l'idea di una città che si estende al Paese e che non si
rinchiude entro le proprie mura per paura. Le porte devono restare
aperte, anche se le mura sono ben visibili per chi viene da fuori». Mettiamo che l'attore sia in palese contrasto politico con l'amministrazione che governa la città da parecchi anni. Mettiamo che alla cerimonia di consegna del premio sia presente un assessore (non
so come si declini al femminile, comunque trattasi di una donna), la
quale chieda pubblicamente all'attore la sua disponibilità a mettere in
scena uno spettacolo a basso costo in città.
Cosa ci potrebbe essere di più normale, in una città normale?
Ma se la città si chiama Treviso, l'attore Marco Paolini, l'amministrazione è leghista e l'assessore è Letizia Ortica (Forza
Italia, una tassa che la Lega trevigiana ha dovuto pagare all'accordo
nazionale), succede che il giorno dopo è tutto un affannarsi a smentire
l'assessore, a dire che non rappresenta nessuno, e che non c'è alcun
motivo di far mettere in scena uno spettacolo a uno "che parla male
dell'amministrazione" (sic).
| inviato da il 5/5/2005 alle 11:58 | |
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